Ormai sono passati più di due mesi da quando sono tornata a casa, con la valigia più pesante ed il cuore più leggero, dopo 100 ore passate nel meraviglioso Piceno. Due mesi in cui ho continuato a pensare di dovermi sedere davanti al computer e raccontare quella magnifica esperienza. Ma sapevo di aver bisogno di un ritaglio di tempo lungo abbastanza da permettermi di scrivere tutto, di getto, in una volta sola, perché è così che mi succede: quando voglio raccontare qualcosa che mi piace da impazzire, non posso prendermi pause o farlo in più riprese.
Quindi eccomi, finalmente, con le dita che vanno veloci sulla tastiera, per parlare di quel viaggio che mi ha fatto scoprire una terra meravigliosa e che, ancor di più, mi ha permesso di incontrare persone stupende e di dare un volto ad amicizie virtuali.
Tutto è iniziato con una chiamata di Marco (uno dei ragazzi della Picenum Tour, l’associazione che si prodiga per la promozione del Piceno), che mi diceva che ero stata scelta per prendere parte alle “100 ore nel Piceno”. Salti di gioia, leggo il programma, occhi a cuoricino, altri salti di gioia: non ci potevo credere. Facevo il countdown per la partenza.
Finalmente arriva il giorno: parto, con la mia valigia sempre troppo piena perché “non si sa mai”. Prima tappa: Ascoli Piceno.
Apriamo le danze con un pranzo da re al Caffè Meletti, storico Caffè di Piazza del Popolo, il cuore della città. A deliziarci è lo Chef Roberto di Sante, che ci fa sognare tra battuta di marchigiana marinata al lampone, carciofo con caviale di rosmarino, calamarata e dolce alla frutta e cioccolato. Un pranzo così, però, deve avere una degna conclusione e questa conclusione è l’Anisetta Meletti, un liquore all’anice che crea forte dipendenza (io vi avverto…).
Dopo un pranzo da sogno, facciamo la conoscenza di Lella Palumbi, la nostra guida, che ci porta alla scoperta della storia della città, con tutte le sue curiosità e peculiarità.
Ascoli è una città molto antica, sorta prima di Roma (famoso è il detto “Quando Ascoli era Ascoli, a Roma solo pascoli”) per mano dei Piceni che vi arrivarono dalla Sabina, seguendo un picchio (dal latino “picus”, da cui prendono il nome), che ora è diventato il simbolo delle Marche. Tra il Duomo di Sant’Emidio, il Municipio, gli antichi resti, le viuzze chiamate Rue e le principali piazze, abbiamo scoperto tutta la storia di questa città dell’entroterra marchigiano, per poi finire a rinfrescarci da Ozio.
Ozio è il locale di Lella, la nostra guida, dove vengono proposte le “Cacciannanze”, una specialità di Ascoli simile alla focaccia. Qui ci si può accomodare per concedersi del sano “ozio” davanti ad un buon bicchiere di vino o di Anisetta Rosati (un’altra anisetta che abbiamo assaggiato, prodotta con l’anice verde di Castigano). Capirete che un locale dedicato interamente al concetto di ozio non può che essere un’oasi felice per me, oziatrice a livello agonistico.
Ma la nostra giornata ad Ascoli non si conclude così: ad attenderci c’è il Desco, altro delizioso ristorante della città. Tra fritto ascolano, paccheri, brasato e millefoglie, anche questa volta ci alziamo sazi e pienamente soddisfatti, per poi dirigerci al Di Sabatino Resort, dove abbiamo soggiornato per le prime due notti.
Il Di Sabatino offre delle stanze dotate di ogni comfort, compreso l’angolo cucina, e una vista mozzafiato su Ascoli dalla terrazza dell’ultimo piano. Ma la cosa più piacevole che colpisce, appena entrati, è la gentilezza di Vanessa alla reception, che per due giorni ci ha coccolati ed accolti sempre con il sorriso.
Dopo un meritato riposo, è un nuovo giorno: colazione al Caffè Meletti (ormai siamo abituè) e si parte alla volta del Molino Santa Chiara, dove il tempo sembra essersi fermato. Qui troviamo Amedeo, che porta avanti con estrema passione la vecchia attività di famiglia, pur avendo intrapreso una precedente carriera totalmente diversa e che poco aveva a che fare con il lavoro manuale, così gratificante ma anche faticoso. Una stanza piccola, pochi strumenti, tanta voglia di darsi da fare: ed è così che nascono le farine del Molino. Io le ho già provate per le mie ricette e la qualità si sente tutta!
Ma ora di nuovo in marcia: si parte per la Tenuta Cocci Grifoni, dove ad attenderci c’è Paola, una donna energica, estremamente competente e appassionata in materia di vini. Ci lasciamo trasportare dalle sue storie, da quelle della sua famiglia, da quelle tradizioni a cui è legata. Ci incantiamo nel camminare tra le viti, nell’ascoltare i racconti su quei vini che per la famiglia Cocci Grifoni costituiscono un vanto, come il Pecorino.
Ammiriamo i macchinari, ci lasciamo guidare nella spiegazione del processo produttivo, tra mille domande e curiosità, per poi arrivare alla terrazza dalla quale ci facciamo rapire da un panorama mozzafiato.
Qui ci attende una tavola imbandita: in cucina c’è lo Chef Andrea Mosca, con la sua brigata, pronto per proporci un menù indimenticabile, accompagnato dagli ottimi vini prodotti in loco. Finger food, risotto, prosciutto fatto in casa, manzo…tutto da sogno, ma il dolce…aaaah, il dolce! Quanto darei per mangiare un’altra porzione di quel cremoso ai fiori di sambuco!
Lasciamo la tenuta, ancora sognanti, per dirigerci verso Velenosi Vini, un’altra celebre cantina della zona. Qui, insieme alla Chef Sabrina Tuzi della Degusteria del Gigante, abbiamo imparato a fare le olive all’ascolana, il ché è stata la nostra salvezza, dal momento che in un giorno e mezzo avevamo già sviluppato una dipendenza da olive e ci chiedevamo come avremmo fatto, una volta arrivati a casa! Lei, con immensa pazienza (e ce ne voleva tanta, ve lo assicuro), ci ha svelato tutti i segreti per snocciolare perfettamente le olive, farcirle ed impanarle. Le olive preparate da noi sono state le protagoniste della cena, dove abbiamo degustato una decina di vini uno più buono dell’altro (per fortuna anni di duro allenamento alcolico mi hanno permesso di arrivare con lucidità in fondo alla cena!). Qui ho scoperto un altro mio amore (dopo le olive e l’anisetta): la Passerina (no, non ridete, maliziosi…), un altro dei vini tipici della zona.
Andiamo a dormire, sazi e felici, per essere pronti per il giorno dopo: San Benedetto del Tronto ci aspetta! Ho sempre portato questa città nel cuore perché quando ero piccola, con la mia famiglia, andavo sempre in vacanza in Puglia e, al ritorno, prima di rientrare a casa, per combattere la nostalgia della fine delle vacanze, ci fermavamo a San Benedetto per fare una scorpacciata di ottimo pesce.
Una volta arrivati qui, ad attenderci, ci sono delle biciclette bellissime e io maledico il giorno in cui sono caduta dalla bici e ho deciso di non utilizzarla più (e da quel giorno sono ufficialmente finita nel Guinness dei Primati come l’unica persona che, dopo aver imparato come andare in bici, lo ha totalmente dimenticato).
Così mi incammino a piedi (continuando a sognare di essere su quelle bici verde acqua che mi piacevano tanto), gustandomi tutto il lungomare, il profumo di salsedine, il rumore delle onde, fino ad arrivare al mercato del pesce, dove ci attende Simone Marconi, de l’Attico Sul Mare di Grottammare. Andiamo da lui per pranzo: aperitivo in terrazza, vista mare, tra cocktail e prelibatezze che per un secondo ti fanno credere di essere sul set di un film e non nella vita reale.
Proseguiamo, poi, nell’elegantissima sala sottostante, tra portate di pesce freschissimo e canzoni suonate al pianoforte. Dicono che quando siamo felici dobbiamo farci caso e io, lì, mi sono accorta che lo ero. E tanto.
Dopo questo pranzo da urlo, ci concediamo una passeggiata per la parte alta di Grottammare, tra i suoi vicoli incantevoli. Arriviamo al ristorante Borgo Antico, dove veniamo coccolati tra bollicine, crostoni con baccalà al timo e panzanella.
Per la sera ritorniamo a San Benedetto, alla Croisette, dove mangiamo praticamente a ridosso della spiaggia, al tramonto…(devo aggiungere altro? 😀 sono qui che, mentre ci ripenso, sogno ad occhi aperti). Lo Chef Andrea Romani ci presenta una serie di piatti di pesce da urlo, tra cui il brodetto alla Sambenedettese, di cui mi sono letteralmente innamorata. Se passate da queste parti, poi, è d’obbligo, a fine pasto, assaggiare la “Macumba”, un liquore all’anice che fa…no vabbè, non ve lo dico quanti gradi fa! E, dopo quella, non fatevi mancare una sfida a suon di Campari: riuscirete a battere lo staff del ristorante?
Ormai ingrassati di una quindicina di chili, ecco l’ultima città: il giorno dopo andiamo a visitare Offida, un bellissimo borgo al centro del quale spicca il Palazzo Comunale, al cui interno si trova il meraviglioso Teatro del Serpente Aureo.
Per pranzo veniamo accolti all’Osteria Ophis, dove lo chef Daniele Citeroni ha studiato un menù raffinato basato su sapori ed ingredienti semplici, veraci, tradizionali. Ed è così che iniziamo con un finger food composto da un budino di fagioli con gelatina di peperoni, per poi passare ad una cipolla farcita con una deliziosa crema, fino ad arrivare a dei cannelloni “al cucchiaio” e ad una rivisitazione in chiave moderna del famoso funghetto offidano.
Camminando, poi per le vie di Offida, si possono incontrare diverse signore che lavorano al tombolo sulla porta della loro casa, producendo piccoli capolavori artigianali, fino ad arrivare poi alla Chiesa di Santa Maria della Rocca.
Essa si trova in cima ad una salita, circondata dal vuoto. La prima facciata che si incontra, strano a dirsi, è quella posteriore, dalla quale si accede ad una cripta: la chiesa vera e propria si trova salendo al piano superiore.
Tra gradini, scalinate, salite e visite culturali, iniziamo però a sentire un certo languirono ed i primi sintomi da astinenza da olive ascolane. Ci pensano allora le ragazze di “Fior di Farina”: una gastronomia nel centro di Offida. Qui ci fanno carburare con un quantitativo industriale di olive, crimini e “chichì ripieno”, un’altra specialità offidana.
Per concludere, tappa a Vi’/Strò, un altro locale del centro che, oltre a proporre specialità del territorio, presenta nel menù una serie di hamburger gourmet studiati dallo Chef Citeroni. Tra pucce salentine, formaggi, affettati, chicchi ripieno e hamburger (il tutto innaffiato da ottimo vino), trascorriamo l’ultima serata tutti assieme.
Per la notte alloggiamo al Nascondiglio di Bacco, sempre ad Offida, in un delizioso contesto immerso tra le vigne.
A pochi passi dal Nascondiglio c’è la Paolini & Stanford Winery, dove vengono prodotti eccellenti vini, che ben si sposano con le cacciannanze portate la Lella direttamente da Ozio.
Così, tra le vigne, con un bicchiere in una mano e una fetta di cacciannanza farcita nell’altra, passano le ultime ore prima dei saluti. Dei saluti che sanno semplicemente di un “arrivederci”, perché in questa terra magnifica io tornerò di sicuro. Perché nel Piceno ci ho lasciato un pezzo di cuore e ho trovato dei compagni di viaggio formidabili e degli organizzatori che hanno saputo curare ogni dettaglio e renderlo speciale.
Quindi, arrivederci Piceno, che queste siano solo le prime 100 di tante ore che potremo ritrascorrere assieme!
24 Agosto 2017 at 14:54
Un posto straordinario per intraprendere dei percorsi eno-gastronomici.
24 Agosto 2017 at 16:15
Concordo in pieno! 😀